Una manciata di motivi per cui l’iniziativa “Sportroccia” della Fasi è giusta.

Considerazione numero uno.

Come ho scritto più di una volta, è meglio un popolo fatto di climber a “cultura verticale ridotta” rispetto a un popolo fatto di ultras che si aspettano per scannarsi la domenica negli autogrill. Tra i due estremi ci sono diverse sfumature possibili, tra le quali quella, diffusissima, di un popolo che si assiepa nei centri commerciali non appena ha un minuto libero dal lavoro. Altra situazione alla quale mi sembra ampiamente preferibile quella di un popolo sportivo. 

E i climbers, anche quando maleducati, caciaroni, irrispettosi delle regole base di convivenza alla base delle pareti, sono comunque sportivi. E in quanto tali sono socialmente economici, cioè a basso costo sociale in termini di ordine pubblico, di salute generale, di bassa predisposizione a farsi coinvolgere in ideologie violente e/o caratterizzate dall’odio sociale. Le grandi violenze della storia hanno sempre attecchito, tra le altre cose, in un sottobosco culturale fatto di infelicità e rancore. Un climber è infelice quando non riesce ad andare a scalare, altrimenti è mediamente sotto controllo dal punto di vista della potenziale partecipazione ad azioni violente dettate dall’ideologia. 

Considerazione numero due.

Le sale d’arrampicata esistono in tutto il mondo. Sono in costante sviluppo e ulteriore diffusione futura, il punto di saturazione è ancora lontano, anche perchè, oltre a rendere sportive persone che prima non lo erano se non in termini molto generalistici, si sta “mangiando” una considerevole fetta di praticanti che precedentemente aveva abbracciato altri sport.

Perciò è inutile, soprattutto da parte delle persone della mia generazione, augurarsi che l’inevitabile e traumatico travaso di gente dalle sale alla roccia si interrompa nel prossimo futuro. Per trovare solitudine in falesia bisognerà sempre di più allontanarsi dai parcheggi o chiodare nuove pareti mantenendole segrete il più a lungo possibile.

Considerazione numero tre. 

Questo travaso dalle sale alla roccia potrà continuare incontrollato e sempre più lontano dall’idea della verticale dei tempi di Edlinger, oppure, in qualche modo, evolversi in qualcosa di meno sgradevole e soprattutto meno pericoloso dal punto di vista dei rischi crescenti di chiusura arbitraria delle falesie da parte delle autorità. 

Come? Cercando di formare un popolo verticale che passi da uno stato di “cultura verticale ridotta” a uno stato di “cultura verticale almeno accettabile”, uno sforzo enorme ma possibile, a patto che si accetti di uscire dagli schemi che, almeno nel nostro paese, hanno imbrigliato il mondo del climbing dagli anni ’80 fino a oggi.

Al momento attuale, nella maggioranza delle sale di arrampicata lead, al principiante viene insegnato come non ammazzarsi durante la scalata e, a volte ma non sempre, durante le manovre da fare in sosta. Punto. 

Non c’è passaggio ulteriore dalla plastica alla roccia, non c’è cultura della convivenza e della preservazione dell’ambiente naturale in cui questi allievi andranno a muoversi di lì a poco in maniera totalmente autonoma dal punto di vista della sicurezza e auto-diretta dal punto di vista dei comportamenti da tenere, una volta sulla parete naturale, nei confronti della parete stessa e delle altre persone che la frequentano. 

Considerazione numero quattro.

Chi può sostenere questo “sforzo enorme ma possibile”? 

Le meno di mille guide alpine effettivamente attive sul nostro territorio?

Anche. Già lo fanno e lo fanno il più delle volte anche molto bene, ma il loro numero e i loro legittimi costi sono un ostacolo insormontabile per gli attuali numeri di un popolo che è stato comunque “abituato male” a considerare la scalata su roccia un’attività totalmente gratis e già preparata da ignoti chiodatori.

L’unica strada reale sono le sale. Da lì vengono la quasi totalità dei nuovi praticanti. Si può lasciare che paghino tra le quattro mura arredate di prese artificiali e si sfoghino in falesia applicando le stesse regole che si sentono di seguire nella vita privata, oppure si può cercare di instradare il travaso verso un futuro verticale su roccia sostenibile e duraturo.

A questo può e deve servire l’iniziativa della Fasi, che finalmente ha fatto uscire un bando per formatori per l’attività sportiva su roccia.

Cioè esperti che possano formare altri esperti distribuiti sul territorio, gente deputata a insegnare alle persone a scalare su roccia non solo nel modo più sicuro possibile, ma anche in modo sostenibile nel lungo periodo, perché questo sport, che necessita di regole di convivenza a 360°, non si auto estingua per sovraffollamento incontrollato nel giro di qualche decina d’anni.

Non si tratta affatto, come già si è letto sui social, di una operazione economica; fidatevi: non c’è sala d’arrampicata italiana che soffra di scarsa frequentazione. E’ invece una necessità impellente per riportare la vita in falesia a un equilibrio che si potrà ritrovare solo grazie a regole condivise e insegnate da qualcuno con le idee chiare, magari della prima generazione. Andrea Gennari Daneri

Consideration number one.
As I have written more than once, a population made up of climbers with a “reduced vertical culture” is better than a population made up of hooligans who are expected to kill each other on Sundays in roadside restaurants. Between the two extremes there are several possible nuances, including the widespread one of people who muster up in shopping centers as soon as they have a minute free from work. Another situation that seems to me largely undesired compared to a sporting population.
And the climbers, even when rude, noisy, and disrespectful of the basic rules of coexistence at the base of the walls, are still sporty. And as such, they are socially economical, i.e. with a low social cost in terms of public order, general health, low predisposition to get involved in violent ideologies and/or characterized by social hatred. The great acts of violence in history have always taken root, among other things, in a cultural undergrowth made up of unhappiness and rancor. A climber is unhappy when he is unable to go climbing, otherwise, he is on average under control from the point of view of potential participation in violent actions dictated by ideology.

Consideration number two.
Climbing halls exist all over the world. They are in constant development and further diffusion in the future, but the saturation point is still far away, also because, in addition to making people who were not sporting before except in very general terms, a considerable portion of practitioners who previously had embraced other sports.
Therefore it is useless, especially for people of my generation, to hope that the inevitable and traumatic transfer of people from the halls to the rock will stop in the near future. To find solitude on the crag, you will increasingly have to move away from the parking lots or bolt new walls, keeping them secret for as long as possible.

Consideration number three.
This transfer from gyms to rock could continue unchecked and further and further away from the idea of the vertical of Edlinger’s times, or, somehow, evolve into something less unpleasant and above all less dangerous from the point of view of the growing risks of arbitrary closure of cliffs by the authorities.
How? Trying to form a vertical population that passes from a state of “reduced vertical culture” to a state of “at least acceptable vertical culture”, is an enormous but possible effort provided that one accepts to step outside the molds which, at least in our country, have harnessed the world of climbing from the 80s until today.
At present, in most lead climbing gyms, the beginner is being taught how not to kill himself during the climb and sometimes but not always during belay maneuvers. Point.
There is no further passage from plastic to rock, there is no culture of coexistence and preservation of the natural environment in which these students will soon move in a totally autonomous way from the point of view of safety and self-directed from the point of view of the behaviors to adopt, once on the natural wall, towards the wall itself and the other people who frequent it.

Consideration number four.
Who can support this “huge but possible effort”?
The less than a thousand mountain guides actually active in our area?
Also. They already do it and most of the time they do it very well, but their number and their legitimate costs are an insurmountable obstacle for the current numbers of people who have in any case been “badly accustomed” to considering rock climbing an activity totally free and already prepared by unknown bolters.
The only real way is the gyms. Almost all of the new beginners come from there. You can let them pay between the four walls furnished with artificial holds and let off steam on the crag by applying the same rules they feel like following in private life, or you can try to route the transfer towards a vertical future on a sustainable and long-lasting rock.
This can and must be done by the initiative of the FASI, which finally brought out a call for trainers for rock sporting activity.
That is, experts who can train other experts distributed throughout the territory, people in charge of teaching people to rock climb not only in the safest way possible but also in a long-term sustainable way, because this sport, which requires all-around rules of coexistence °, does not self-extinct due to uncontrolled overcrowding within a few decades.
As we have already read on social media, it has nothing to do with an economic operation; trust me: there is no Italian climbing gym that suffers from low attendance. Instead, it is an urgent need to bring life on the crag back to a balance that can only be found thanks to rules shared and taught by someone from the first generation. Andrea Gennari Daneri