La superstar serba del bouldering annuncia il suo addio alle competizioni sei anni dopo l’intervista rilasciata a Pareti Climbing Magazine, alla vigilia delle olimpiadi di Tokyo.
(foto: Jason Halayko / Red Bull Content Pool)
L’atleta quasi apolide, serba ma senza compagni di squadra, ha marcato uno stile veramente particolare in questi anni di competizioni bouldering e lead. Alta, muscolare eppure estremamente tecnica e coordinata, è stata spesso un baluardo affiancato alla Garnbret contro l’invasione giapponese e americana. Sul lato infortuni non è mai stata fortunata, con un brutto infortunio al ginocchio proprio prima delle olimpiadi giapponesi.
Ora annuncia il ritiro dalle gare, ma lo fa in modo polemico, proprio di chi ha visto cambiarsi le regole del gioco durante il gioco stesso, avendo cominciato molto piccola a livello internazionale e avendo quindi visto diversi ribaltamenti di stile nel corso degli anni, cercando ogni volta di adattarsi. Ce l’aveva fatta alla grande con lo stile parkour, ma il tappo dev’essere saltato con il recente abuso del no-texture per mani e piedi
Perciò ora sulla sua pagina instagram vuota il sacco già vuoto di pazienza e tra le altre cose dice:
Ho un problema con il routesetting, lo ammetto, ma è anche un MIO problema. Potrei essere troppo vecchia scuola per questo. Non ce la faccio più a vedere delle prese no texture. Non riesco a vedere le stesse facce che tracciano ogni competizione e dettano le tendenze. Ho un problema e basta. Non ho il supporto, una squadra, una palestra e le risorse per pagare questi tracciatori costosi, per seguire le tendenze ed essere brava in quelle tipo di cose.
LA NOSTRA INTERVISTA DEL 2019:
Sei figlia di climbers e tuo padre è stato un pioniere della verticale in Serbia, tuttora molto attivo…
Io ho vissuto la scalata per tutta la mia vita; sono cresciuta giocando con le corde e i rinvii, facevo pendoli in falesia tutto il tempo. I miei genitori mi portavano nella falesia vicina a casa, ma non mi hanno mai forzata a scalare, è stata una cosa che è venuta fuori da sola, in modo naturale. Avrei anche potuto scegliere un percorso di vita diverso, ma non era proprio il caso. Più tardi ho iniziato anche a fare
le gare, ai festival per bambini, dove sono migliorata molto velocemente. I miei genitori e i loro amici hanno visto che avevo un buon potenziale; è sulla base di questo che, quando avevo dieci anni, abbiamo viaggiato per l’Europa, per fare più esperienza.
Sei figlia di climbers e tuo padre è stato un pioniere della verticale in Serbia, tuttora molto attivo…
Io ho vissuto la scalata per tutta la mia vita; sono cresciuta giocando con le corde e i rinvii, facevo pendoli in falesia tutto il tempo. I miei genitori mi portavano nella falesia vicina a casa, ma non mi hanno mai forzata a scalare, è stata una cosa che è venuta fuori da sola, in modo naturale. Avrei anche potuto scegliere un percorso di vita diverso, ma non era proprio il caso. Più tardi ho iniziato anche a fare
le gare, ai festival per bambini, dove sono migliorata molto velocemente. I miei genitori e i loro amici hanno visto che avevo un buon potenziale; è sulla base di questo che, quando avevo dieci anni, abbiamo viaggiato per l’Europa, per fare più esperienza.
Infatti hai scalato RP il tuo primo 8b su roccia a 12 anni. Come hai diviso l’attenzione tra roccia e gare?
Quando ero molto piccola la scalata era tutta una faccenda di tecnica e leggerezza nel senso di peso e di rapporto peso-potenza applicato sulla parete. Quando sei così piccola non impieghi tempo a fare altri esercizi separati dalla scalata pura, il tempo in più lo dedicavamo tutto a scalare su roccia. E mi piaceva un sacco, perchè era un approccio differente alla scalata. Adesso invece vado a scalare fuori solo quando c’è un intervallo nella preparazione agonistica e per il resto faccio un gran lavoro in palestra. Alcuni climbers da gara riescono a scalare fuori come attività parallela, ma ce ne sono altri, e io faccio parte di loro, che necessitano di più preparazione indoor per essere performanti in competizione.
Come fa una (teoricamente) isolata ragazza serba a competere ai massimi livelli mondiali senza sparring partners in patria?
Io mi aIleno con un limitato gruppo di persone delle quali mi fido profondamente; poi, quando ce n’è bisogno, allora viaggio e mi alleno con un paio di altri team europei. Altrimenti mi alleno in diverse sale della Slovenia oppure anche a Graz, in Austria, che dista solo un’ora dalla città in cui vivo adesso, cioè Maribor. Isolamento comunque non è la parola adatta per descrivere la mia condizione: io sono una tipa molto indipendente e mi sposto spesso; mi piace spostarmi e lo farò ancora molto presto.
Non sei lo stereotipo della climber anoressica…
La mia principale fonte di nutrimento è costituita dalle proteine animali. Io sono contro tutti i tipi di dieta estrema, come quelle che escludono certe famiglie di sostanze nutritive. Ogni profondo cambiamento della dieta si ripercuote, in qualche modo, sul tuo corpo. Ho fatto un sacco di diete e di esperimenti in questo campo: ho provato la dieta ketogenica (grassi+proteine e bassi carboidrati), il suo contrario (la high carb), la vegana, insomma tutto. Nessuna di queste risponde e soddisfa i miei bisogni quanto una dieta bilanciata. Senza carne il mio ferro crolla, il recupero rallenta e magari causa un altro infortunio oppure mi provoca debolezza o persino sovrallenamento.
In gara sembri super a leggere i problemi, a volte sei l’unica a risolvere un blocco di difficile interpretazione. E’ un dono o lo alleni?
E’ una delle mie qualità migliori. Non mi metto spesso ad allenarla, perchè la capacità di visualizzazione mi viene davvero naturale. Ho un buon senso della biomeccanica, delle forme e dei modelli, ho esperienza; so cosa succede a un corpo sul muro. Dove devo invece migliorare un po’ è la fiducia in me stessa, in un certo senso nel coraggio e nella concentrazione. Cerco di mettere una pezza a questi problemi scalando quasi solo in flash.
Sembri molto a tuo agio coi problemi incentrati sulla gestione del baricentro: ti piace il parkour?
E’ vero è uno dei miei stili di scalata boulder preferiti, è divertente, effettivamente assomiglia al parkour, che peraltro praticavo da ragazzina. Quando hai un buon senso della biomeccanica, questo genere di movimenti diventano rapidamente più familiari, con un po’ di pratica.
Alla finale del mondiale a Innsbruck mostravi continuamente al giudice che non stavi sanguinando. Com’è possibile arrivare in condizioni simili a un appuntamento così importante?
Ho una pelle strana. Guarisce lenta e si consuma straveloce; non era la prima volta che sanguinavo in gara, è una cosa che mi succede. Questo genere di situazioni ripetute mi hanno costretto ad imparare a scalare nastrata; però a volte non basta per l’aderenza che richiede il blocco, come nel problema 4 in finale a Innsbruck.
I giapponesi si scaldano tanto prima delle finali. Com’è la tua routine pregara?
Io comincio con esercizi di attivazione generale un paio d’ore prima dello start. Parlo di movimenti basici di ogni muscolo del corpo, proprio tutti i muscoli; per farlo uso anche le bande elastiche. Vado avanti per mezz’ora – tre quarti d’ora. Poi comincio a scalare su cose facili e piano piano aumento l’intensità. Cerco di provare dei blocchi che mi possano far trovare pronta ad ogni tipo di situazione una volta in gara. E’ molto importante prendersi dei buoni riposi durante il riscaldamento e non esagerare con niente, in special modo sul pannello di riscaldamento.
Stai allenando la speed per Tokyo? Qual è un buon tempo per una boulderista?
Il miglior tempo di una di noi boulderiste per adesso è appena sotto i nove secondi; la media di noi fa la via in dieci secondi; recentemente sono riuscita a fare 9”.90, il che mi ha reso molto soddisfatta per il progresso.
La formula olimpica cambierà dopo Tokyo. Sei contenta?
Assolutamente no, ma non è il mio ruolo quello di lamentarmi o cambiare qualcosa nelle decisioni. Non mi piace neanche la formula di adesso, perchè è molto rischioso allenare tirando al massimo su tutte e tre le discipline. L’anno scorso mi sembrava una sfida eccitante e mi sembrava nel complesso “okay”. Poi quest’anno mi sono invece resa conto che non si riesce proprio a incorporare tutto in un programma di allenamento logico e fluido. Qualcosa dev’essere comunque lasciato fuori da un altrimenti enorme volume di lavoro.
Sei completamente professionista adesso? Come vedi il tuo futuro da climber e da non climber?
No non sono professionista; quel che guadagni con gli sponsors non basta per vivere. La maggior parte dei miei introiti arrivano dal Comitato Olimpico Serbo e dal Ministero dello Sport. Se non ci fossero qui soldi la mia carriera di scalatrice non sarebbe finanziabile.
L’altro mio interesse è l’ingegneria delle fonti di energia elettrica. Sto finendo gli studi in questo campo a Maribor e sono in attesa delle decisioni di alcune università straniere a riguardo delle possibilità di Masters presso di loro.
Ondra è poco conosciuto in Repubblica Ceca. Tu in Serbia? le Olimpiadi possono amplificare questa notorietà?
Mediamente famosa, beh… soprattutto nella mia città, cioè Niš. Ma non è che io sia una granchè desiderosa di fama, per cui la cosa non mi scuote. Le Olimpiadi stanno certamente per portare un sacco di attenzione, il che è un grosso vantaggio per la community verticale. Il progresso mi sembra veloce ma il livello d’attenzione al nostro sport, su scala globale, mi sembra inferiore a quello che dovrebbe essere. Forse per le Olimpiadi successive a Parigi, chi lo sa?
Se potessi rubare una qualità a testa a Garnbret e Nonaka?
In verità niente; io mi godo il mio stile alla grande; ognuna di noi sviluppa le proprie armi e impariamo a usarle. E se c’è da cambiare qualcosa, allora prendiamo a prestito pezzettini di idee da altre persone e cerchiamo di svilupparle, comunque, a modo nostro.
ENGLISH
The Serbian bouldering superstar announces his farewell to competitions six years after the interview given to Pareti Climbing Magazine, on the eve of the Tokyo Olympics.
The almost stateless athlete, Serbian but without teammates, has marked a truly particular style in these years of bouldering and lead competitions. Tall, muscular yet extremely technical and coordinated, she was often a bulwark alongside Garnbret against the Japanese and American invasion. On the injury side she has never been lucky, with a bad knee injury just before the Japanese Olympics.
Now she announces her retirement from competitions, but she does so in a polemical way, typical of someone who has seen the rules of the game change during the game itself, having started very small at an international level and having therefore seen several reversals of style over the years, each time trying to adapt. He did great with the parkour style, but the cap must have been blown with the recent abuse of no-texture for hands and feet
So now on his empty Instagram page the already empty bag of patience and among other things she says:
I have a beef with routesetting, I admit it, but it’s also MY problem. I might be too old school for it. I can’t see another no-tex hold. I can’t see the same faces setting every competition and dictating the trends. I have a problem with it and that’s it. I don’t have the support, a team, a gym and resources to pay these precious faces, to follow the trends and be good at them.
Our interview of 2019, just before the knee crack that blew up her chances for Tokyo
You are the daughter of climbers, and your father was a pioneer of vertical climbing in Serbia, still very active today…
I have lived climbing my whole life; I grew up playing with ropes and quickdraws, doing pendulums on the crag all the time. My parents took me to the crag near our house, but they never forced me to climb. It was something that came naturally, by itself. I could have chosen a different life path, but that wasn’t the case. Later, I started doing competitions, at kids’ festivals, where I improved very quickly. My parents and their friends saw that I had good potential; based on that, when I was ten, we traveled around Europe to gain more experience.
In fact, you climbed your first 8b on rock at the age of 12. How did you balance your focus between rock climbing and competitions?
When I was very young, climbing was all about technique and lightness, in terms of weight and the power-to-weight ratio applied on the wall. When you’re that small, you don’t spend time doing exercises separate from pure climbing; we dedicated all the extra time to climbing outdoors. And I loved it because it was a different approach to climbing. Now, I only climb outside when there’s a break in my competitive preparation, and for the rest, I do a lot of work in the gym. Some competition climbers manage to climb outdoors as a parallel activity, but there are others, and I’m one of them, who need more indoor training to perform well in competitions.
How does a (theoretically) isolated Serbian girl compete at the highest world level without sparring partners in her homeland?
I train with a small group of people I deeply trust; then, when necessary, I travel and train with a few other European teams. Otherwise, I train in various gyms in Slovenia or even in Graz, Austria, which is only an hour away from the city I live in now, Maribor.
Isolation isn’t really the right word to describe my situation: I am a very independent person and I travel a lot; I enjoy moving around, and I’ll be doing that again very soon.
You’re not the stereotypical anorexic climber…
My main source of nutrition comes from animal proteins. I’m against all kinds of extreme diets, like those that exclude certain groups of nutrients. Any significant dietary change affects your body in some way. I’ve tried a lot of diets and experiments in this field: I’ve tried the ketogenic diet (fats + proteins and low carbs), the opposite (high carbs), veganism, basically everything. None of them meets my needs as well as a balanced diet. Without meat, my iron drops, recovery slows down, and it might even lead to another injury or cause weakness or overtraining.
In competitions, you seem super good at reading problems; sometimes, you’re the only one to solve a tricky boulder problem. Is it a gift, or do you train it?
It’s one of my best qualities. I don’t often train it because the ability to visualize really comes naturally to me. I have a good sense of biomechanics, shapes, and patterns, and I have experience; I know what happens to a body on the wall. Where I could improve a bit is self-confidence, in terms of courage and concentration. I try to address these issues by climbing almost exclusively in flash.
You seem very comfortable with problems centered on managing the center of mass: do you like parkour?
It’s true; it’s one of my favorite styles of bouldering, and it’s fun, actually similar to parkour, which I practiced when I was younger. When you have a good sense of biomechanics, these kinds of movements quickly become more familiar with a bit of practice.
At the World Cup final in Innsbruck, you kept showing the judge that you weren’t bleeding. How is it possible to arrive in such a condition for such an important event?
I have strange skin. It heals slowly and wears out very quickly; it wasn’t the first time I bled in a competition, it’s something that happens to me. These kinds of repeated situations forced me to learn how to climb taped up; but sometimes, it’s still not enough for the grip that the problem requires, like in problem 4 at the Innsbruck final.
The Japanese warm up a lot before finals. What’s your pre-competition routine?
I start with general activation exercises a couple of hours before the start. I’m talking about basic movements for every muscle in the body, all muscles; I also use elastic bands for this. I go on for about half an hour to three-quarters of an hour. Then I start climbing on easy stuff and gradually increase the intensity. I try to work on problems that help me be prepared for any situation once the competition starts. It’s very important to take good rests during warm-up and not overdo anything, especially on the warm-up panel.
Are you training speed for Tokyo? What’s a good time for a boulderer?
The best time for a boulderer so far is just under nine seconds; the average among us is about ten seconds. Recently, I managed to do 9.90, which made me really happy with my progress.
The Olympic formula will change after Tokyo. Are you happy about that?
Absolutely not, but it’s not my role to complain or change any decisions. I don’t even like the current formula because it’s very risky to train at full intensity in all three disciplines. Last year, it seemed like an exciting challenge, and overall, it seemed “okay.” But this year, I’ve realized that you can’t really incorporate everything into a logical and smooth training plan. Something has to be left out of an otherwise huge workload.
Are you a full-time professional now? How do you see your future as a climber and non-climber?
No, I’m not a professional; what I earn from sponsors isn’t enough to live on. Most of my income comes from the Serbian Olympic Committee and the Ministry of Sports. If there weren’t money here, my climbing career wouldn’t be financially sustainable.
My other interest is electrical power source engineering. I’m finishing my studies in this field in Maribor and waiting for decisions from a few foreign universities regarding possible Master’s programs.
Ondra is not very well-known in the Czech Republic. What about you in Serbia? Can the Olympics amplify this fame?
I’m moderately famous, well… especially in my city, Niš. But it’s not like I’m very eager for fame, so it doesn’t really affect me. The Olympics will certainly bring a lot of attention, which is a big advantage for the vertical community. Progress seems fast, but the level of attention to our sport on a global scale seems lower than it should be. Maybe for the next Olympics after Paris, who knows?
If you could steal one quality from Garnbret and Nonaka?
Actually, nothing; I really enjoy my own style. Each of us develops our own strengths, and we learn to use them. And if we need to change something, we borrow little pieces of ideas from others and try to develop them in our own way.